GIANNI DE TORA

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1985 Logge Vasari, Arezzo 28 settembre 13 ottobre

- ''HOMO'' PICTORICUS -
 
ARTICOLO DI DINO PASQUALI SU LA NAZIONE DI AREZZO DEL 17 OTTOBRE 1985

PITTORE VERACE riscoperto alle Logge

Al numero 13 di piazza Grande, nelle sale comunali delle Logge Vasari, abbiamo assistito alla riscoperta dell'iconografia d'un tradizionale mestiere come quello del pittore «verace». Il riappriopriamento di segni, decorazioni e simboli d'un passato che pulsa tuttora - e continuerà a pulsare nonostante ogni interessata «morte» della pittura - è dovuto stavolta al napoletano Gianni De Tora, il quale consegna le proprie, professionali abilità ed inventiva anche ai generi a torto considerati minori; per esempio alla stoffa colorata, ottenendo un risultato che sa d'arazzo senza essere arazzo, concependo pagine «astratte» tali, in chi non cerchi i soliti aneddoti naturalistici, da animare non poche ed intense suggestioni. Davvero molto bella l'opera che il De Tora, avendola donata al Comune, andrà a potenziare le scorte museali della galleria comunale. ....

 
ARTICOLO DI DINO PASQUALI SU LA NAZIONE DI AREZZO DEL 4.10.1985

Pittura e scultura tanti appuntamenti

Mostra pittorica di qualità, d'ottima qualità. pur se non abbondante in opere, la mostra allestita dal napoletano Gianni De Tora nelle sale municipali delle logge Vasari. L'artista partenopeo - fra i molti anzi troppi delle «nuove» generazioni, uno dei più coerenti sul piano culturale che ci sia stato dato finora d'incontrare l'iconografia d'un tradizionale mestiere (Homo pictoricus, egli si autodefinisce spiritosamente e polemicamente).......

 
ARTICOLO DI LUIGI RUCCI SU RIVISTA OGGI E DOMANI DI PESCARA DEL GENNAIO-FEBBRAIO 1986 N.1/2

Gianni De Tora - Con la mostra alle Sale Comunali- Logge Vasari di Arezzo Gianni De Tora conferma una linea iconica che tende alla geometrizzazione di certe irrazionalità dell'inconscio pittorico intenso quale sostrato di tutte le possibili reificazioni estetiche. Le opere si qualificano per una tipologia caratteristica che vede alcuni colori fondamentali (sorta di variazioni sui colori primari) intrecciarsi in forme archetipe. Il triangolo, il quadrato, la losanga divengono così i paradigmi di un universo pittorico che si pone quasi a specchio della realtà quotidiana investigata dall'artista con l'occhio indagatore di chi vi cerca spiragli di altre possibili realtà."L'homo pictoricus" dunque si estrinseca in forme e colori che non mancano di una vena anche ironica e che sembrano a loro volta investite di una autonoma coscienza interrogante. Proprio qui, in questo reciproco interrogarsi e rispondersi credo che vada cercato il senso più profondo dell'opera del De Tora, un'opera, ripetiamo. tuttora in continua evoluzione e che si vede sempre con rinnovato piacere.

 
ARTICOLO DI MARIO ROTTA SU LA NAZIONE DI AREZZO DEL 4.10.1985

PERSONALE ALLE LOGGE VASARI DI AREZZO DELL'OTTOBRE 1985

Gianni De tora è un artista famoso perché è bravo.

Scoprirlo ad Arezzo è stato un piacere per i nostri occhi e per le nostre orecchie, gli uni catturati e ingentiliti dai giochi di colore e di forma dei dipinti, le altre trasportate in un mondo sereno dalla pacata dialettica, tutta napoletana, dell'artista che ci parla delle sue opere. La storia di Gianni inizia negli anni '60, quando l'area culturale campana si risveglia, con prepotenti intenzioni, dopo qualche decennio di immeritato oblio. La Napoli dei colori e della filosofia del buon senso, quella di sempre, eterna come il paesaggio del golfo, pervade De Tora e altri pittori; che per qualche anno, seguiti amorevolmente da critici come Antonio Del Guercio o Luigi Paolo Finizio (da poco tempo membro del Comitato Tecnico della nostra Galleria Comunale, n.d.r.), lavorano su temi legati alla ricerca geometrico-percettiva, gli unici, ci conferma Gianni, che qualificano l'arte in quest'epoca di «ismi» e di etichette il più delle volte pensate a fini pubblicitari, Anche il gruppo di De Tora aveva una sigla: si chiamava «Geometria e. Ricerca», ma era il frutto dell'incontro spontaneo di una serie di esperienze comuni; che oggi, De Tora conferma certe nostre impressioni, continuano a scavare in silenzio sotto la patina lucida delle grandi mostre con un'insistenza e una coerenza tale da farne, forse, l' unico o il pimportante filone, senz'altro il più vero, dell'arte italiana contemporanea.De Tora, oggi non è più un rigoroso filosofo geometrico-percettivo , ha lasciato alle sue spalle le suggestioni della Op-Art, ha rivisitato il suo passato pittorico come un archeologo farebbe con i resti di una civiltà scomparsa, ma solo per ricostruire, elemento dopo elemento, l'eredità concreta di quel retroterra e coglierne i frutti migliori nel nuovo allestimento scenico dei suoi prodotti. Gianni, ad Arezzo, ha portato opere emblematiche, che caratterizzano il lavoro dei suoi ultimi anni e che contemporaneamente stampano sull'osservatore l'impronta indelebile di un'arte che fa pensare, l'unica arte che ha una ragione per vivere.I dipinti sono fatti, ancora in parte, di geometrie e giochi di forme elementari, ma i contorni si sono ormai liberati dalla rigidità ottica di certi vecchi quadri per diventare, come sempre accade, quando il cuore penetra profondamente nel rigore della filosofia, in lessico poetico di alta qualità e di notevole effetto.I triangoli, i cerchi, i quadrati, si trasformano così quasi in un sistema metafisico che sorregge un mondo fatto di colori e di simboli.I colori di De Tora sono quelli solari che solo un " mediterraneo" (usiamo pure almeno un termine di moda) può possedere; Gianni, poi, li evidenzia, non dimenticando mai che la sua storia è stata di geometria ma anche di ricerca, usando come supporti materiali inusitati come la carta di Amalfi, la carta di riso applicata, quasi accartocciata sulla tela, e altre felici invenzioni. l simboli, a loro volta, emergono nel colore e nella forma proprio come i reperti misteriosi e arcani dell'archeologo avventuroso: sono segni, più che effetti simbolici, fulminanti intuizioni di valore semantico che sottintendono un significato nell'evidenza stessa, del significante; sono anche richiami ad un passato ancestrale proprio di tutta l'umanità, sono le pennellate con le quali i Sumeri, gli Egizi, tutte le civiltà del mondo antico, tutti i nostri antenati, cioé, esprimevano la loro ansia di conoscenza nei confronti del mondo.E De Tora, come un antico, arriva al punto di mettere nei suoi dipinti l'oro in polvere o in foglia, nell'epoca del denaro e della gloria, un materiale prezioso viene qui usato per il suo originario valore simbolico-evocativo, con un effetto dirompente veramente «trasgressivo», vorremmo far capire a certi critici superficiali.Bravo De Tora, dunque, torna pure, quando vuoi, magari con i tuoi amici artisti che, se oggi non fanno un' etichetta degli anni 80, sono pur sempre una grande, impetuosa corrente che ricambia l'acqua del mare dei nostri tempi.

 
REDAZIONALE SU ECO D'ARTE MODERNA N.9/10 OTTOBRE 1985

…......sono molti i portati della cultura non figurativa mitteleuropea che, con metodo egregio, si fondono nei suoi oggetti, nei suoi lavori: tecniche miste su vetro, plexiglas, stoffa, legno, le quali fra rigore matematico e aspirazione “scientifica” svelano la magia d'una riscoperta di dimenticati repertori iconografici (ad esempio le decorazioni). “L'artista partenopeo - fra i molti, anzi troppi delle 'nuove generazioni', uno dei più coerenti sul piano culturale che ci sia stato dato finora d'incontrare - riscopre l'iconografia d'un tradizionale mestiere (Homo pictoricus, egli si autodefinisce spiritosamente e polemicamente). La riscopre nei segni, nelle decorazioni, nei simboli d'un passato che pulsa tuttora e che continuerà a pulsare, ad onta d'ogni interessata 'morte della pittura' ”. Quanto sopra, occasione la bella personale di Gianni De Tora nelle Logge Vasari, si legge in una cronaca aretina della Nazione. L'articolista, D.Pasquali, prosegue: “E consegna, il De Tora, la propria professionale abilità e inventiva anche ai generi cosiddetti - a torto – minori; per esempio alla stoffa colorata...., concependo pagine 'astratte'.....capaci di suscitare non poche ed intense suggestioni”.

 
cartolina-invito personale di Arezzo del 1985
 
 
 
TESTO DI ARCANGELO IZZO PRESENTE SUL CATALOGO DELLA MOSTRA

GIANNI DE TORA
"homo" pictoricus

Gianni De Tora, come tutti gli artisti meridionali, ha l'occhio educato a forme sicure e abituato ai rapporti. Ma egli sa che questa formula goethiana, per quanto affascinante ed esaltante, induce il
rischio di fratture e di opposizioni dialettiche inconciliabili e pericolose per la cultura. Egli, invece, sente o mostra di sentire che la forma, quasi membrana della vita, nasce dalla vita stessa senza comprometterne la fluidità e, contemporaneamente, senza restarle estranea.
L'unità organica della «vita» non esclude per nessuno la molteplicità delle sensazioni, delle percezioni e delle esperienze. Ma nessuna creatura vive completamente: e, come in ciascuno c'è sempre qualcosa di oscuro, di enigmatico, di non ancora vissuto appieno e compenetrato dal movimento reale della vita, così nell'artista - dice De Tora - c'è la coscienza dell' “inerzia” della sostanza, del semplice essere dei materiali. Un'« inerzia» che non è mai totalmente vinta e superata, perché mai toccata, radicalmente, dall'individualizzazione.
Pertanto la sua «conscientia», vibrante e frastagliata di artista, cogliendo la transmutabilità delle esperienze, risponde alle domande imperiose della «forma» con l'indecisione che oscilla fino alla contemporaneità del sì e del no, proprio perché tesa a cogliere tutte le vibrazioni della natura e del corpo, per il quale la totalità della vita è presente in ogni singolo attimo.
In questo processo di maturazione, anche la pittura di De Tora, da tecnica indiziaria per il particolare più insignificante, diventa traccia di qualcosa di più ampio e vasto, cui il pensiero si rivolge con uno schema generale, liberamente scelto, sentito e mai tradito, ma non più rigorosamente geometrico.
Questi passaggi sono stati già segnalati e seguiti dalla critica più attenta, che sin dal 1970 individuava il primo affiorare di una «lirica semplicità dell'immagine» tesa a condensare «in contrapposte tensioni di fantasticheria spaziale e di dolente realtà terrena, il proprio valore conflittuale» (Antonio Del Guercio); cui seguiva il riconoscimento di un riscatto da «certi indugi che sembravano legarlo a irresolutezze formative». Riscatto che avveniva per la nuova qualità della pittura e per la differente capacità di dipingere le mutazioni del sole e della luce, che consentiva a De Tora di prendere «coscienza anche di realtà sensibili e naturali, proprio attraverso l'orditura nitidamente geometrica» (Sandra Orienti 1975).
Sulla scia di tali «avvertenze», e soprattutto sulle sollecitazioni degli ulteriori lavori di De Tora, si sviluppava e si manifestava una serie di riflessioni critiche, tra le quali si segnalano le intuizioni di Luigi Paolo Finizio (L'Immaginario Geometrico, Edizioni I.G.E.I. Napoli 1979), che tra l'altro scopre in De Tora «il riferimento all'ambiente naturale quasi si perpetui nel suo linguaggio il suggerimento da cui egli muove e che in realtà trova in quel linguaggio soltanto uno
strumento di conoscenza» e un'amplificazione nitida «del bisogno di risonanza interiore»; e le considerazioni di Bruno D'Amore, tese ad evidenziare in De Tora «l'artista di parole, di spiegazioni, di colloquio» e nel suo linguaggio, freddo e scarno «mille allusioni, concezioni, idee, fatti personali, storia vissuta, speranze ed anche poesia».
Più vicino alla recente produzione di De Tora, Pierre Restany, in un' “Ode” all'artista napoletano, avverte che il «recupero della geometria non sarà mai totale », che «la dimensione onirica anima sotto fondo le strutture palesemente elementari» che «gli spettri gestuali incrinano la gravida maestà dei triangoli inversati» e che «si tratta, sì, di pittura, ma come pura coscienza: essere l'agire senza fine per vivere il visivo senza fondo».
«Dietro a un mondo di apparizioni mutevoli Gianni De Tora insegue una forma 'definitiva' che il tempo, gli eventi hanno relegato nell'ombra e nell'oblio» - dice a sua volta Carmine Benincasa - per il quale l'artista costruisce un ordine fra le cose, una gerarchia di segni e di colori, una sequenza logica della scansione temporale, e l'opera diventa anche alfabeto dell'esperienza.
Oggi, poi, nei recentissimi lavori, eseguiti per lo più con materiali minimali ma preziosamente ricercati (carta di Amalfi, carta di riso, carte orientali) confluiscono tutte le esperienze precedenti, ricondotte, però, all'unitarietà della vita, dell'”essere” misterioso quanto il «divenire», ma pur sempre unità di misurazione attenta, ansiosa e partecipe della molteplicità dei fenomeni e degli eventi.
Ogni opera recente continua ad essere (nel micro e nel macroformato) un laboratorio segnico, ma non più attrezzato al solo quotidiano, all'ascolto dell'”io” o agli attraversamenti della storia dell'arte, bensì disposto a diventare anche osservatorio dell'«homo», «pubes/tralis », «fallico» erotico e pertanto dei suoi segnali cadmici (prealfabetici e alfabetici), mitici, storici, economici e politici, scientifici e creativi (segnali runici, labirintici, regali, mercantili, popolari, astronomici),
precolombiani, alpestri, pompeiani, egizi e comunque arcaici.
Da questo osservatorio Gianni De Tora, ora serio e pensoso, ora ironico e divertito, ora trasognato e poetico, ora scienziato e artigiano, continua a ricercare «i colori dell'arcobaleno quando erano puliti ». ma guarda con maggiore attenzione ai «colori della storia ».
Tuttavia i colori primari (rosso, blu, giallo), rapportati alle forme primarie (cerchio, triangolo, quadrato, losanga, rettangolo) si dispongono su supporti «frammentati» o «invertebrati» (privi di telaio e di cornice, che è parte pittorica dello spazio stesso dell'opera) i quali, come superfici speculari, riflettono il recupero dell'immagine in tempo reale.
La techne, diventa più erratica esploratrice, si manifesta sicura mediatrice dell'industre virtù artigianale e della cultura dell'artista, sollecitandolo ad aggredire la pittura affinché essa viva nello spazio privato (la superficie), nello spazio pubblico (galleria, museo, casa, edificio) e comunitario.
In tal modo le «pièces », parti componibili in ambiente, continuano a vivere l'insieme e l'individualità, anche come parti di un discorso narrato, senza un inizio e senza una fine: vivono, in fondo, l'odissea dello spazio.

 
citazione presente sul catalogo mostra personale Arezzo ott.1985
Tutti sappiamo che l'Arte non è verità. L'Arte è una bugia che ci fa raggiungere la verità, perlomeno la verità che ci è dato di comprendere. /George Braque
 
foto di repertorio
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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